Viaggio-azione-installazione
Lara Vinca Masini, maggio 2000
La casa di Dario e Lucia Bartolini, appollaiata sulla collina tra Impruneta e Scandicci, presso Firenze, è, come dice Lucia, forse la sola casa "radical" realizzata, dal momento che gli architetti "radical" non hanno quasi mai prodotto "architettura" (le cui implicazioni nella compromissione accademica e professionale essi rifiutavano), bensì design, anzi "controdesign", come lo definivano.
Dario Bartolini, del gruppo "radical" Archizoom, da questa casa "radical", dilata il suo orizzonte al mondo intero, con l'attenta e amorosa adesione di Lucia e dei figli, anch'essi architetti (come Ernesto Nathan Rogers, come Richard Rogers, tutti parte della loro grande famiglia, di radici "architettoniche"), lavorando ad una ipotesi almeno ideale, certamente utopica di ristrutturazione di un mondo "umano" che ritrovi le sue radici naturali, il rapporto con la terra, con l'acqua, con l'energia insita nella materia.
È un po' il tema affrontato, in modi diversi, da Yves Klein, da Joseph Beuys, dagli esponenti italiani di Arte povera, anche da Richard Long, il più vicino, forse, per quanto riguarda il tema del "viaggio", al lavoro di Dario e dei suoi. Il tema affrontato, insomma dagli artisti, da sempre i più vicini alla libertà e alla creatività dell'infanzia, i più sensibili alle necessità reali dell'uomo.
Dario Bartolini, architetto e designer, si è dunque trovato, ad un certo momento (anche perché oggi tutta la cultura sembra essersi rimessa in discussione e le diverse specificità - arte, architettura, scienza, filosofia... - slittano l'una nelle altre, in una sorta di continua "contaminazione"), a spostare la spinta del suo fare verso il campo particolare delle arti visive, verso il quale ha rivolto tutte le sue potenzialità, senza rinunciare, peraltro, al suo specifico, mantenendo, del suo essere architetto l'attenzione allo spazio (uno spazio, si e visto, "naturale", anche nella sua connotazione di mappa geografica, legato alla terra non urbanizzata - anche se, talvolta, ama intervenire anche sulla città), all'acqua, agli elementi, al fuoco, al sole... -, la progettualità, la sua capacità di essere "faber".
Ha iniziato, Dario, a far giocare le sue sottili canne piene, di vetro di Murano, trasparenti o colorate, con fili e tondini di ferro, piegando le canne alla fiamma del becco Bunsen, in profili luminosi, che si stagliano coinvolgendo dentro di se lo spazio a mo' di cornici (e, come nei più recenti lavori, en plein air, nei quali si aggiungono vere cornici lignee, "ad assorbire" dentro di se, come scrive Dario "altri luoghi del mondo"). Si aggiungeva poi il legno, "superfici sezione di alberi", che "separa un di qua e un dilà, protegge in custodie rigide il fragile vetro", ma anche diventa elemento portate, corpo di un lavoro, combinando il fragile col solido, 1'elemento naturale, ventale o minerale, o prodotto dall'uomo con sabbia e fuoco, il luminoso con l'opaco, lo "stabile" con l'instabile"... Si pensi a Librato, un grande corpo ligneo, sospeso in bilico, dal quale si aprono due sottilissime linee-braccia in vetro azzurro che sembrano volerne sostenere la caduta (come nel "Tentativo di volo" di Yves Klein) quando si librano, nelle diverse installazioni, verso un abisso. Ironici e poetici i titoli, riferiti ad animali reali o immaginari, a poetici, goffi personaggi...
E dalla necessita di legare questi lavori a "luoghi" diversi, uniti tra lonro solo dall'ambiente naturale o antropizzato, che non conosce divisioni geografiche, nasceva l'idea del "viaggio" che unisse in un unico filo (il percorso), i diversi luoghi e, di seguito, i diversi paesi, nel loro più diretto "esserci", in un rapporto straordinario di rinnovata comunicazione". "Il viaggio" - scrive Dario Bartolmi - "l'opera che si fa occupare dal luogo e non lo occupa, diviene viaggiatnce, lieve, portata nel mondo per pensare al mondo. Portare in viaggio delle opere, portarsi sul luogo. Perché quel luogo, qualunque luogo, è la matrice dell'autore, dell opera, forse dell interprete... Il viaggio è la ricerca del finito. Di là da quel ciclo, c'è un altro finito, come questo, ma ancora diverso da come lo penso, inconoscibile e desiderabile come un amore.". Di qui, appunto l'idea di "viaggio", un viaggio preparato in tutto come un azione (quando Dario realizza i percorsi in moto con Lucia, e la moto e organizzata cosi da accogliere i suoi lavori nei loro straordinari gusci-custodie di legno, essi stessi, allo stesso tempo oggetti di design - forse di "antidesign" ? - e "opere" dalla forma libera ma anche risposta ad una progettualità aperta ma lungamente studiata e calcolata). Li ho definiti di "antidesign" perché il loro progetto non nasce mai sulla carta ma solo insieme all'opera.
Oppure il viaggio si fa in auto, quando i percorsi sono più lunghi e prevedono diverse installazioni come nel viaggio Acque meridiane fino in Norvegia. E allora l'auto diventa una "carrozza" tutta rimodellata e attrezzata, riempita metodicamente a incastro, come un grande puzzle, fino all'ultimo centimetro (un "modello" brevettabile di vita a due per coppie nomadi?). Scrive nel suo "Diario di viaggio" Lucia (che dovrà occuparsi degli approvvigionamenti, a cominciare dalla bottiglia per l'acqua che rifornita di acque meridiane, sarà la fonte di tutto il viaggio, scorrendo attraverso i loro corpi, come scorrerà sulle opere; e ancora dell'assistenza ai vari montaggi e smontaggi): "Apparecchiamento della tavola per la notte, con spostamenti a 'sogliola' per soli 55 cm, disponibili tra piano e tetto, su cui la pioggia batte a sasso. Le lenzuola di lino sono piacevoli, il letto è comodo. La 'carrozza' funziona e le tende proteggono la nostra intimità". Ma in auto si compiono anche alcuni viaggi più brevi, finalizzati per una sola, grande installazione, come quella, secondo me tra le più affascinanti di Dario, ad iniziare dal titolo Stretto a sé un profumo di rose in una corte del centro storico di Arola (Verbania), del luglio '97 (una immensa rete che si fa cascata di vetro colorato, a rifrangere, in un sorta di incantato miraggio, la luce del sole e si sorregge su fili e tondini di ferro lanciati nel vuoto che si attaccano, a colonne e mura).
Il lavoro di Dario Bartolini è, pertanto, solo parzialmente espresso nelle opere: è un lavoro sui luoghi, che comprende e implica il viaggio, l'installazione-azione, perché ogni lavoro, fatto di molte parti staccate, ogni volta disposte in equilibrio tra loro (e ogni volta, un equilibrio da ritrovare), ogni lavoro, dicevo, seppur perfettamente progettato in anticipo, richiede una messa a punto che pretende un'estrema pazienza, un'attenzione trepida e lenta, che si gioca tutta sull'abilità e sulla sensibilità che colgono esattamente il momento in cui 1'oggetto acquista la sua mobile stabilità il suo bilico perfetto, a resistere alla forza del vento, alla violenza delle onde all'intensità del sole (che scioglie la neve e, talvolta, fa cadere e frantumare i pezzi.) Scrive ancora Lucia, a proposito della installazione, sul mare, tra due fari, a Henningsvaer in Norvegia: "II luogo dell'installazione. Grande e silenziosa emozione per quanto sta per accadere. Sospensione e dilatazione di una vertigine rinnovabile. Esperienza di un istantaneo equilibrio tra affettuoso manifare, fisicità di un oggetto, reazioni di appoggi e rugosità, variazioni di vento, luce, voli e grida di gabbiani e perfino spettatori, inglesi e norvegesi. Seguo le silenziose mani di Dario e i gabbiani che sorvegliano l'intrusione e volano in ricognizione... il lavoro più grande, 15 m, deve essere ancorato per non ruotare troppo velocemente al vento. Sono trascorse 3 ore, l'apparecchiamento è completato. Iniziano le riprese video dello smontaggio... Son passate 5 ore quando riattraversiamo il campo di calcio e riprendiamo il viaggio, girellando nel paese degli stoccafissi...".
Questa mostra alla Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti si propone, nella sua prima parte, come documento di questo viaggio di Dario e Lucia dalla casa dell'Impruneta fino in Norvegia, attraverso il Meridiano dell'Europa Centrale, alla scoperta delle "Acque meridiane". Per ascoltarle, lavorarci dentro, "produrre un'opera dentro il luogo per il luogo, come un cantiere rovesciato che costruisce verso 1'esterno anziché al suo interno... Il luogo, come la materia e la forma, non significano, si significano".
Oltre ai dieci lavori di Acque meridiane saranno in mostra il Librato (Tamigi, Senna, Rodano...), Pellegrini (Lugo di Romagna, Foci del Po, Laguna di Venezia), Trespolo con tre uccelli e due orizzonti (Val di Cornia) e un'mstallazione di otto video a documentare i viaggi e anche il montaggio delle opere in Boboli, realizzata dal figlio Giuseppe.
Anche il luogo di questa mostra dovrà, dunque, "significarsi". Così le installazioni proseguiranno, in un laboratorio aperto, nei luoghi e nelle acque del Giardino di Boboli, cosicché anche questa mostra possa trasformarsi in viaggio-azione-installazione.